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Le mele scendono in piazza per AISM

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Per maggiori informazioni e per trovare la piazza più vicina a te: http://www.sostienici.aism.it/partecipa/eventi/mela-aism-_prova/

 

Intolleranze… Allergie… Che confusione!!!

Parlando con voi mi sono resa conto che esiste ancora una grande confusione tra le intolleranze alimentari o allergie alimentari “croniche” e le intolleranze riconosciute dalla medicina ufficiale (al lattosio e al glutine) e le allergie.

allergiaFin da tempi antichi si era notato come l’alimentazione potesse essere causa di malattia; Ippocrate, il medico greco padre della moderna medicina, si era reso conto che “alcuni individui non tolleravano determinati alimenti che altri utilizzavano senza subir alcun danno”. Gli alimenti o le sostanze ad essi addizionate volontariamente al fine di migliorare l’aspetto, il gusto e la conservazione (additivi intenzionali) o involontariamente lungo la filiera agro-alimentare (contaminanti) possono essere responsabili di manifestazioni a carico dell’intestino e/o extraintestinali. Da ciò deduciamo che nella relazione esistente tra cibo e salute un ruolo predominante dovrebbe essere svolto dalle intolleranze alimentari, purtroppo è un problema del tutto sottovalutato e misconosciuto da buona parte della classe medica.

Per fare chiarezza distinguiamo nelle reazioni avverse agli alimenti:

  1. Le allergie alimentari propriamente dette, che si manifestano con una reazione immediata o quasi al cibo ingerito: ad esempio l’orticaria che viene dopo aver mangiato le fragole così come l’angioedema, ossia il gonfiore delle mucose, che compare dopo aver mangiato i crostacei; ecc.
  2. Le pseudoallergie, cioè i deficit enzimatici, come ad esempio la mancanza dell’enzima lattasi deputato alla scissione del lattosio in glucosio e galattosio che solo sotto questa forma possono essere assorbiti, o la mancanza di enzimi per la digestione dei legumi: il favismo; ecc.
  3. Le ipersensibilità, cioè le reazioni ad alcune sostanze, presenti in certi alimenti (per esempio vino rosso, cioccolato, formaggi fermentati, pesce in scatola ecc.) che rilasciano istamina (mediatore chimico che si libera nelle manifestazioni di allergia) e che possono causare cefalee ed altri sintomi.
  4. Le reazioni tossiche agli alimenti, ossia avvelenamenti da funghi o cibi avariati, botulismo e così via.
  5. Le intolleranze alimentari, allergie alimentari croniche ad alimenti che vengono riconosciuti come dannosi od estranei dall’organismo che reagisce, si tratta quindi di quei casi in cui eliminando completamente un cibo dall’alimentazione quotidiana, si verifica la scomparsa del sintomo o della malattia.

È importante capire che le reazioni tossico-allergiche agli alimenti e alle sostanze chimiche si possono presentare in forma “mascherata”; questo vuol dire che se una persona assume quotidianamente un alimento cui potrebbe essere intollerante, non sospetterebbe mai la causa dei suoi disturbi, anche cronici; lo stesso accadrebbe con l’assunzione di additivi, conservanti ecc.

I sintomi associati alla presenza di intolleranze alimentari possono essere i più svariati da cefalee ricorrenti a disturbi neuropsichici, da cistiti ricorrenti a dermatiti, da disturbi gastrointestinali ad attacchi di panico e così via.
Il fatto che possano essere così varie le sintomatologie legate all’intolleranza è legato al fatto che in effetti, le tossine, che si formano durante i processi di Intolleranze Alimentari, spesso hanno un “organo bersaglio” specifico per ognuno di noi. Probabilmente questo è dovuto al fatto che tutti gli individui possono presentare un organo o una struttura del corpo più “debole” delle altre, quindi più aggredibile. Probabilmente l’organo bersaglio dipende da una predisposizione genetica o, forse, da traumi di vario genere che subiamo nel corso della vita.
Vi sono però dei sintomi accessori che possono rappresentare la spia della presenza di un eventuale patologia legata alle intolleranze specie in tutte quelle persone a cui sono state fatte tutte le indagini ufficiali del caso e sono stati “etichettati” polisintomatici o addirittura con disturbi psicosomatici.
Di solito, i sintomi sono: astenia (ricorrente e non alleviata da riposo), alitosi (importante se si presenta al mattino), afta orali, palpitazioni cardiache (importanti quelle che insorgono dopo un pasto), alternanza di peso (senza apparenti squilibri nutrizionali), aerofagia, meteorismo, difficoltà digestive, edemi (importanti quelli del mattino a carico degli arti inferiori o superiori), torpore mentale (importante quello dopo i pasti), ipersudorazione (naturalmente non per attività fisica), prurito (senza causa apparente), crampi agli arti inferiori (importanti quelli notturni); tutti questi sintomi sono soliti scomparire nel breve volgere di alcuni giorni e senza alcuna terapia cosiddetta sintomatica.

Per quanto riguarda i test per la diagnosi delle intolleranze dobbiamo separare quelli della medicina convenzionale da quelli della medicina non convenzionale. Nella medicina convenzionale i test attualmente riconosciuti sono rivolti a due solo alimenti: latte (lattosio)int al lattosio e grano (glutine). Nella medicina non convenzionale invece vi sono vari test che celiaci_intolleranze_alimentarigenerano molto scetticismo nella classe medica in quanto dichiarati poco attendibili e senza reale validazione scientifica. Certo le intolleranze non devono essere la panacea di ogni nostro problema di salute, ma allo stesso tempo non si deve far passare una persona per malata immaginaria quando non lo è! In realtà dipende molto dalla serietà e preparazione del professionista a cui ci si rivolge, bisogna affidarsi a persone esperte e soprattutto che non vogliano speculare sulla nostra salute ma solo riuscire a farci stare meglio!

intIn studio utilizziamo il test citotossico, prove tossiche alimentari su sangue, (è necessario quindi un prelievo di sangue), che consente di valutare le possibili intolleranze mettendo a contatto i leucociti del paziente con reagenti alimentari, il tutto viene letto al microscopio. L’attendibilità del test è stata suffragata da numerosi studi clinici con risultati fortemente positivi ottenuti con la sola astinenza degli alimenti risultati positivi per un periodo medio di 60 giorni. Quindi ai pazienti risultati positivi ad una o più sostanze viene suggerito di eliminarle completamente dall’alimentazione per un periodo che dipende dal grado di reazione riscontrato.
L’eliminazione ha come obiettivo quello della disintossicazione dell’organismo ed in particolare permette di ottenere la perdita di memoria da parte dei globuli bianchi che quel particolare alimento è tossico per l’ individuo.
Le intolleranze alimentari non sono perenni, normalmente dopo un periodo di astinenza gli alimenti risultati positivi vengono reintrodotti nella dieta evitando assunzioni quotidiane che potrebbero facilitare un nuovo accumulo di tossine nell’organismo. Molti problemi sono stati risolti a persone che non sapevano più a chi rivolgersi. Vengono testati 51 alimenti (i più comuni):
Grano tenero, grano duro, lievito, riso, mais, soia, latto albumina, latto caseina, bovini, albume dell’uovo, tuorlo dell’uovo, pollo, maiale, coniglio, agnello, pomodoro, patate, peperone, tonno, merluzzo, piselli, carciofo, carote, olive, mela, banana, zucchero, caffè, tè, cacao, segale, orzo, funghi, gamberi, trota, salmone, cipolla, aglio, tacchino, fragola, ciliegia, pera, mandorla, noce, camomilla, cavolfiore, ravanello, cicoria, prugna, pesca, ananas. Poi c’è il kit per alcune sostanze chimiche più ricorrenti come conservanti e additivi.

allergie-e-intolleranze-alimentari in aumentoLe intolleranze alimentari sono in costante aumento questo perché negli ultimi quarant’anni l’industrializzazione incalzante, e la diffusione del cibo su scala internazionale, hanno sottoposto gli alimenti a procedimenti industriali di tipo chimico e fisico che portano alla produzione di un cibo che biologicamente non è più integro. Nella coltivazione dei terreni si ha una manipolazione chimica talmente forte che porta alla crescita di prodotti che hanno delle grosse alterazioni genetiche. È difficilissimo trovare oggi un grano che non abbia subito queste manipolazioni, tranne che non sia di origine biodinamica e strettamente controllato.
Lo stesso avviene per un altro prodotto quale il latte, che viene manipolato, pastorizzato e sterilizzato per far sì che si mantenga più a lungo. Le mucche che lo producono subiscono trattamenti a base di ormoni e antibiotici per mantenere un’alta produzione. Pertanto il latte che compriamo al supermercato ha ben poco rispetto a quello prodotto dalla mucca. Lo stesso possiamo dire per diversi altri alimenti.
L’altro ruolo importante per le intolleranze sono gli additivi. Vent’anni fa gli additivi chimici permessi negli alimenti erano ottantacinque, oggi sono più di millequattrocento e la maggior parte di essi non sono mai stati testati sull’uomo. Per alcuni di questi, addirittura, non vi è l’obbligo della menzione in etichetta.
Sinteticamente possiamo quindi dire che le probabili cause primarie che inducono l’organismo ha divenire diventare intolleranti:
1. carenza di vitamine e sali minerali
2. agenti stressanti
3. malassorbimento intestinale e deficit immunitario
Per quanto riguarda la carenza di vitamine e Sali minerali è legata direttamente all’aumento del consumo di cibi raffinati. La qualità degli alimenti è indiscutibilmente calata, rendendo i cibi sempre meno naturali e con presenza sempre maggiore di agenti inquinanti e additivi di tipo chimico. Allo stesso tempo, le coltivazioni intensive e la concimazione chimica, non sono in grado di crescere piante complete da un punto di vista nutrizionale. Ci nutriamo di cibi carenti in vitamine e Sali minerali, ricchi di additivi, conservanti e privi di energia vitale.
Ogni evento stressogeno, provoca una risposta dell’organismo che viene mediata dalle piccole ghiandole surrenali nel tentativo di riequilibrare l’organismo. Tuttavia la forza vitale delle ghiandole surrenali non è infinita, e a seguito di continui interventi entrano in una fase di esaurimento. È proprio questo che ci rende più vulnerabili e facilmente idonei a sviluppare intolleranze.
Il 70% delle cellule immunitarie si trovano a ridosso delle pareti intestinali, queste ultime sono protette dalla ben nota flora batterica intestinale. La funzione di questa flora batterica e di vitale importanza, queste cellule estranee sono simbiotiche al nostro organismo. Sono circa 300 specie diverse tutte in equilibrio tra loro e con varie funzioni:.
• esse sintetizzano diverse vitamine tra cui la vitamina K.;
• la vitamina B1 e 12;
• acido folico acido pantotenico;
• metabolizzano gli ormoni steroidei e gli acidi biliari, permettono la digestione dei grassi;
• bloccano i batteri estranei producendo antibiotici naturali. Hanno anche la capacità di degradare le tossine inibendo lo sviluppo di virus e funghi, addirittura anche del Helicobacter pylori;
• probabilmente la funzione più importante è proprio quella di modulare il sistema immunitario stimolando la produzione di anticorpi IgA. Questi anticorpi rivestono tutta la superficie mucosa creando una pellicola protettiva.
In sintesi una modificazione della flora batterica intestinale può portare a disturbi a livello dell’apparato gastrointestinale. Se la mucosa intestinale è integra ed efficiente, essa eseguirà il suo compito di filtro in maniera da far passare nel sistema sanguineo e linfatico solo i nutrienti; al contrario, se la permeabilità dell’intestino, non è ottimale, macroelementi, cioè sostanze non completamente digerite, potrebbero passare a danno dell’intero sistema. Queste molecole, che portano ancora il “codice” dell’alimento di origine a contatto con il GALT (il sistema immunitario intestinale) e che non riconosce come “amiche”, ossia come nutrienti utili per l’organismo, ma invece come aggressori, saranno oggetto di attacchi e volte all’eliminazione
È quindi nell’intestino, e in particolare nell’integrità della barriera mucosa selettiva e assorbente dell’intestino tenue, dove avviene l’assorbimento dei nutrienti, che si gioca la partita delle intolleranze alimentari .

La vitamina D

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Una paziente qualche giorno fa  mi ha domandato: “cosa ne pensa della relazione fra carenza di vitamina D e non perdita di peso corporeo?”

La vitamina D è nota anche come “Vitamina del Sole” perché è grazie al sole

vit d1 che il nostro corpo, attraverso la pelle, è in grado di sintetizzarla. Circa l’80% di vitamina D che utilizziamo viene infatti sintetizzata a livello cutaneo e il 20% lo assumiamo con l’alimentazione. Quindi la luce solare, nella sua componente di raggi ultravioletti B, è la migliore e più naturale sorgente di Vitamina D. L’organismo è in grado di assumere la quantità necessaria e di eliminare la parte eccedente. Ed è proprio la mancanza di esposizione alla luce solare il fattore più rilevante di una sempre più diffusa carenza o insufficienza di Vitamina D.

Funzione principale è l’omeostasi ossea, anche se in realtà si è visto che si comporta come un vero e proprio ormone. Studi recenti hanno stabilito che potrebbe esistere una relazione tra vitamina D eperdita di peso. Il livello di vitamina D nel corpo può influenzare la quantità di peso che si perde quando si inizia una dieta.

Questi studi hanno dimostrato che coloro che avevano sufficiente vitamina D nel loro sistema, perdevano più peso rispetto a coloro che ne erano carenti.

Questi studi sono indicativi ed è necessaria più ricerca, ma il risultato preliminare sembra dimostrare che l’aggiunta di vitamina D a una dieta ipocalorica possa comportare un maggiore tasso di perdita di peso, ovviamente nei soggetti che ne sonio carenti. Quindi primo passo da fare è effettuare il dosaggio della vitamina D in modo da verificare la propria situazione

 

BAROMETRO DELLA VITAMINA D
meno di 20 ng/ml Deficienza
tra 21 e 29 ng/ml Insufficienza
tra 30 e 100 ng/ml Sufficienza
sopra i 150 ng/ml Intossicazione
tra 40 e 60 ng/ml Ideale

 

Tuttavia occorre ricordare che la carenza di Vitamina D è rara, soprattutto in soggetti che vivono nell’area del mediterraneo, condizioni normali d’esposizione alla luce solare garantiscono livelli accettabili di Vitamina D

Cos’è la vitamina D?

La vitamina D in realtà è un gruppo di pro-ormoni liposolubili ( ossia che si sciolgono nei grassi) costituito da 5 diverse vitamine, definite: D1, D2, D3, D4 e D5. Le due più importanti sono la vitamina D2 (ergocalciferolo) e la vitamina D3 (colecalciferolo), che presentano attività biologica molto simile. Il colecalciferolo (D3) deriva dal colesterolo ed è sintetizzato negli organismi animali, mentre l’ergocalciferolo (D2) è di provenienza vegetale.

La vitamina D è un nutriente unico che può derivare sia dall’alimento che dall’azione della luce solare sulla pelle.

Tabella 1 Maggiori fonti alimentari di vitamina D

Alimento Vitamina D (µg per 100 g)
Olio di fegato di merluzzo 210.0
sgombro, crudo 8.2
Salmone, crudo 7.1
Salmone, grigliato 5.9
Tuorlo d’uovo 4.9

 

vit.dE’ essenziale per l’uso ottimale del calcio nell’organismo in quanto aiuta l’assorbimento di calcio nell’intestino e la sua deposizione nelle ossa, e controlla i livelli di calcio nel sangue. Una sua carenza dà luogo a disordini ossei come il rachitismo nei bambini e l’osteoporosi negli adulti.Studi recenti hanno dimostrato che la vitamina D agirebbe come un vero e proprio ormone su tantissime e fondamentali funzioni del nostro organismo:

Salute cellulare

previene certi tipi di cancro, come quello alla prostata, al pancreas, mammella, ovaie e colon; previene malattie infettive e infezioni al tratto respiratorio superiore, asma e disturbi respiratori.

Salute organi

previene malattie cardiache e infarti; previene il diabete di tipo 2, parodontite , perdita di denti e altre malattie infiammatorie.

Salute dei muscoli

supporta la forza muscolare

Salute del sistema autoimmunitario

previene la sclerosi multipla, il diabete mellito di tipo 1, il morbo di Crohn e l’ artrite reumatoide.

Salute del cervello

previene la depressione, schizofrenia, morbo di Alzheimer e demenza.

Salute degli stati d’animo

previene il disordine affettivo stagionale, la sindrome pre-mestruale, i disturbi del sonno e aumenta il senso di benessere

La concentrazione di vitamina D è legata anche:

L’età (a parità di esposizione solare il soggetto anziano produce circa il 30% in meno di vitamina D)

L’indice di massa corporea o BMI (nelle persone obese la vitamina D tende ad essere “sequestrata” nel tessuto adiposo)

L’uso di creme protettive (un fattore di protezione 15 potrebbe ridurre del 99% la produzione di vitamina

Il fototipo cutaneo

L’indossare indumenti protettivi

I vetri (il vetro assorbe tutte le radiazioni UVB: chi passa le giornate dietro ad una finestra non avrà alcun effetto sulla sintesi di vitamina D)

L’inquinamento atmosferico (alcuni componenti dell’inquinamento atmosferico possono assorbire la radiazione ultravioletta

Latte

latteCosa dire del latte? Il latte fa male? È giusto consumare latte ogni giorno?

Non voglio dare delle risposte a queste domande ma voglio che ognuno di voi possa decidere liberamente ma con maggiori informazioni possibili!

In natura, il Latte (prodotto di secrezione delle ghiandole mammarie dei Mammiferi dopo il parto) è l’alimento previsto per la crescita dei cuccioli dei Mammiferi, ed il Latte di ogni specie va ad esclusivo beneficio di quella specie.

Il latte materno prepara il corpo ad albergar l’anima e lo spirito.

Porta l’essere umano sulla terra e gli fa percepire

l’unità con il genere umano

(Haushka)

Alla fine dei conti questa è l’affermazione più giusta! Il latte materno è l’unico alimento realmente adatto ai fabbisogni del neonato e del bambino piccolo. I fabbisogni del bambino variano con l’età, ed è sorprendente notare come la composizione del latte materno si modifica nel tempo.

bimbo

Possiamo infatti distinguere:

  • Il colostro, nei primi giorni di vita.
  • Il latte di transizione, dal sesto al quindicesimo giorno.
  • Il latte maturo, dal sedicesimo giorno al quindicesimo mese.

Questi tre tipi di latte presentano differenze a livello glicidico, lipidico, proteico, dei minerali, degli oligoelementi e delle vitamine (Andre 1983).

La diversità della composizione del latte delle varie specie dei mammiferi è enorme: si va dal Latte di focena che contiene solo il 40% di Acqua, al Latte di cavalla che ne contiene il 90%. Mentre il Latte di cavalla ha soltanto l’1.5 % di Grassi, il Latte di focena ne contiene il 46 %. La cavalla produce un Latte più ricco di Lattosio di quello dei cetacei, mentre il Latte di coniglio è il più ricco di tutti in Proteine e Sali Minerali, e così via. Tutto questo trova una giustificazione soprattutto nel rapporto madre-figlio.

Il Latte specie-specifico contiene non solo tutti i Nutrienti nelle proporzioni ottimali per la crescita, ma anche sostanze enzimatiche ed anticorpi che hanno la funzione di aumentare le difese immunitarie in un periodo della vita in cui un’infezione potrebbe avere conseguenze gravissime. Ad esempio vediamo la composizione del latte materno e del latte di mucca:

COMPOSIZIONE DEL LATTE DI DIVERSI MAMMIFERI (per 100 gr.)

Latte Proteine grammi Lattosio grammi Grasso grammi Acqua grammi
Donna 0,9 7,2 3,5 88
Mucca 3,6 4,9 3,5 87

Dopo lo svezzamento, però, nessun Mammifero continua a bere latte, che non è cibo adatto ai bambini ed agli adulti; neppure quello della propria specie, perchè le esigenze nutrizionali dell’adulto sono differenti da quelle del lattante. Il piccolo Mammifero diviene in grado di vivere cibandosi  degli alimenti per cui la specie è biologicamente adatta.

Nessun Mammifero, tranne l’Uomo, consuma, in nessuna epoca della vita, il latte di un’altra specie. muccaIn realtà il latte di mucca deve permettere al vitello di costruire rapidamente una grande quantità di tessuto osseo, ma poco tessuto nervoso, tutto questo perché contiene molecole più grandi rispetto al latte materno, quindi tende a supernutrire il corpo ed a sottonutrire il cervello ed il sistema nervoso. Nell’ uomo questo non avviene perché al contrario si accontenta di una crescita ossea lenta, ma deve poter sviluppare un cervello voluminoso e complesso.

Il latte vaccino non è adatto perché:

  • Contiene troppe Proteine: 36 gr/litro contro 9 gr/litro, – quattro volte di più;
  • Contiene Proteine molto diverse: rapporto Caseina/Lattoproteine 4.5:1 contro 0.4:1
  • Contiene poco Lattosio: 49 gr/litro contro 70 gr/litro;
  • Presenta un rapporto Grassi Saturi/Insaturi svantaggioso;
  • Contiene una percentuale di Calcio troppo elevata: 1170 mg/litro contro 340 mg/litro;
  • Presenta un rapporto Calcio/Fosforo svantaggioso: 1.3:1 (Latte vaccino) contro 2.4:1 (Latte umano);
  • Contiene troppi Sali Minerali: 7 gr/litro contro 2 gr/litro.

Ma se questo è vero come la mettiamo con la salute delle nostre ossa? Ci siamo sentiti sempre dire: “bevi il latte, il latte fa bene soprattutto alle ossa”. Se così fosse stato non avremmo avuto un così forte aumento dell’osteoporosi, visto che l’uso del latte, latticini e derivati è così comune sulle nostre tavole!

Il calcio per essere assorbito dalle ossa, deve disporre di un’adeguata quantità di magnesio, che nel latte è scarso, molto alto nella verdura, legumi e frutta, oltre al controllo del suo tenore metabolico il magnesio serve anche a contrastare con la vit. B6, l’acidosi metabolica indotta dai soli sali di calcio e proteine animali.

Se abbiamo un ambiente acido (proteine animali) i nostri meccanismi di tamponamento naturale, col calcio in eccesso, non possono lavorare al pieno, infatti, per neutralizzare l’acidosi si deve ricorrere alla nostre riserve minerali che abbiamo principalmente nelle ossa e muscoli, questo meccanismo a circuito chiuso spiega che l’osteoporosi non è una mancanza di calcio per le nostre ossa, ma una perdita di calcio a seguito delle nostre abitudini alimentari scorrette.

Recenti ricerche hanno dimostrato che le donne che consumano proteine animali presentano una perdita ossea del 35%, rispetto al 7% delle donne vegetariane. L’osteoporosi infatti ha un’incidenza maggiore in quei paesi dove viene consumata una maggiore quantità di latte e formaggio: Stati Uniti, Finlandia, Svezia e Inghilterra sono i paesi del mondo in cui il consumo di latticini è molto alto, e, incidentalmente, sono anche quelli in cui l’osteoporosi è maggiormente diffusa fino a diventare una piaga sociale.

Inoltre il latte, come già detto, tende ad “acidificare” il nostro organismo, e il calcio per essere assimilato necessita di ambiente alcalino. Quindi il latte ingerito (assieme ad altri alimenti acidi quali carne, pomodoro, zucchero, farine raffinate, ecc..) crea un ambiente acido, che porta a innumerevoli malattie come indebolimento del sistema immunitario, colon irritabile, gastriti, emicranie, sinusiti, indebolimento del fegato e del sistema linfatico, ambiente favorevole alla proliferazione di infiammazioni urinarie e dell’orecchio.

Per complicare ulteriormente la situazione, può capitare che durante il pasto si assumano vari tipi di proteine: è procedura abbastanza comune fornire ai bambini un bel bicchiere di latte durante il pranzo a base di carne oppure di pesce, oppure proporre ricette contenenti carne e formaggio formulati assieme. Anche se il gusto ne guadagna, proporre il latte ai bambini piccoli assieme ad altre proteine equivale a disorientare, sconquassare il loro povero fegato, che non sa più che enzima secernere: alla fine il nostro intestino si troverà con un amalgama di proteine digerite (cioè quelle cui fegato ha prodotto l’enzima corrispondente, dato che ne può fornire uno solo per digestione) e un altro amalgama di proteine indigerito (che tende ad andare in putrefazione). Quindi si avrà inizialmente un’irritazione sul tratto digerente e conseguentemente, se la dieta persiste, un’irritazione cronica sulle pareti dell’intestino (con sintomi quali diarrea, stitichezza, stanchezza oppure iperattività): e come ulteriore conseguenza, avremo un malassorbimento delle sostanze nutritive, delle vitamine, degli enzimi e dei minerali.

Ciò che sembra essere importante per il metabolismo dell’osso non è tanto l’assunzione di Calcio, ma il bilancio Calcico [l’equilibrio tra Calcio assunto e Calcio eliminato dall’organismo]. La perdita dell’integrità ossea in molte donne bianche in epoca post-menopausale è probabilmente causata da fattori genetici, dietetici e dallo stile di vita. La Ricerca Scientifica ha dimostrato che le perdite di Calcio dell’organismo sono aumentate dall’assunzione di proteine animali, sale, caffeina, tabacco e dall’inattività fisica.

Al giorno d’oggi nessuno è immune da carenze vitaminiche, vuoi per dieta sbagliata, vuoi per intestino irritato (che spesso passa inosservato), vuoi perché oramai anche le verdure biologiche si sono impoverite!

Dobbiamo ricordare, anche, che il latte che assumiamo è pastorizzato e i sistemi di pastorizzazione alterano il prodotto, comportando la perdita di molte proprietà del latte crudo: dalla distruzione degli enzimi (che
permettono l’assimilazione del calcio) e dei batteri lattici (uno tra tutti, il lactobacillus acidophilus: indispensabile per la sinterizzazione della vitamina B nel colon ed elemento che fornisce al latte proprietà battericide) alla perdita parziale di alcune vitamine, all’annullamento delle proprietà battericide del prodotto (che lascia poi il campo libero al successivo e rapido sviluppo di batteri nocivi).

Tutto ciò davvero non aiuta a fare chiarezza, anzi forse comporterà la nascita di molti dubbi!

pastorizzazioneCome dobbiamo comportarci nelle nostre abitudini alimentari? Latte si o latte no?

Ritengo che la verità sia sempre nel mezzo non dobbiamo demonizzare un alimento ma neanche favorirne un abuso! Probabilmente dovremo solo moderare i consumi di latte e latticini e avere una alimentazione più variata non monotona.

Non alimentare abitudini sbagliate come il bicchiere del latte prima di andare a letto, dopo che si è tranquillamente cenato, pasteggiare bevendo latte o utilizzare il latte come se fosse una bevanda e non un alimento!

Un polo in eccesso (o in difetto) crea convinzioni limitanti e  comportamenti errati o disastrosi!

IN MEDIO STAT VIRTUS

I grassi Idrogenati, cosa sono e come riconoscerli

ldl_hdlSentiamo spesso parlare di grassi idrogenati, del fatto che dovremmo bandirli dalle nostre tavole, ma solo una piccola parte di noi hanno un quadro ben preciso di cosa sono e del perché bisogna evitarli: per molti consumatori, infatti, la loro presenza è del tutto irrilevante nella scelta di un prodotto. La nostra salute dipende molto da ciò che mangiamo e da come lo facciamo, e nel caso dei grassi idrogenati è indispensabile prenderne coscienza.

Vi sono diverse categorie di grassi, tutti utili (ma nelle giuste dosi) per il nostro organismo ed altri addirittura dannosi:

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1. Grassi INSATURI: presenti prevalentemente negli olii vegetali, favoriscono la riduzione del colesterolo “cattivo” impedendo che questo si depositi nelle arterie. Possono essere monoinsaturi o polinsaturi, ovviamente sempre consumati nelle giuste dosi.

2. Grassi SATURI: sono prevalentemente d  i origine animale, un consumo eccessivo favorisce l’innalzamento del colesterolo “cattivo” e di altri grassi del sangue che vanno a depositarsi nelle arterie, causando conseguenti problemi cardiaci. Attenzione, ciò non significa che siano da demonizzare in tutto e per tutto: una dieta equilibrata, infatti, prevede il consumo di una percentuale di grassi saturi!

L’idrogenazione è un processo chimico attraverso il quale gli acidi grassi vengono in parte saturati, trasformando un olio vegetale dallo stato liquido ad uno solido o semi-solido. Anche se l’olio trattato è ricco in origine di grassi insaturi, questi vengono resi saturi dall’idrogenazione.

Ovviamente questo è un processo nell’industria alimentare ha vari vantaggi:

1. solidità. Si può ottenere un grasso solido (surrogato per esempio del burro) a partire da oli; i grassi solidi sono molto utilizzati nei prodotti da forno (si pensi a biscotti, brioche, crostate ecc.).

2. lunga scadenza. I grassi idrogenati si degradano meno facilmente rispetto ai grassi naturali: così una brioche prodotta con margarina può avere data di scadenza a un anno quando la stessa prodotta con burro avrebbe data di scadenza di pochi mesi. Per il gusto? Basta aggiungere aromi e il gioco è fatto.

3. Costi. I grassi idrogenati costano meno e quindi è possibile ottenere prodotti molto competitivi; tale caratteristica amplia l’impiego dei grassi idrogenati a campi in cui i precedenti due presunti vantaggi non sono in fondo determinanti. Si pensi per esempio alla gelateria in cui con grassi idrogenati, aromi e coloranti si possono ottenere decine di gusti da offrire al cliente a costi molto bassi (o a costi “normali”, spacciando il prodotto per genuino e artigianale).

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Dal punto strettamente chimico con l’idrogenazione si ha lo “spezzamento” del doppio legame degli atomi di carbonio di un grasso insaturo che con l’aggiunta di atomi di idrogeno vanno a legarsi con il carbonio; un problema grave sorge quando la posizione degli atomi di idrogeno legati al carbonio cambiano nello spazio, mutando l’abituale legame da cis a trans, ottenendo così quelli che conosciamo come “Grassi Trans” che sono addirittura più dannosi dei grassi saturi: i grassi trans, infatti, non solo innalzano il tasso di colesterolo “cattivo” (colesterolo LDL) come i saturi, ma contribuiscono anche a far calare il livello del colesterolo “buono“(colesterolo HDL). L a legislazione, inoltre, non aiuta affatto: è praticamente impossibile individuarne la presenza nelle etichette dei prodotti, perchè se sono presenti in quantità minori o uguali allo 0,5% non c’è obbligo di dichiararne la presenza, inducendo quindi il consumatore-potenziale cliente a credere che non ce ne sia alcuna traccia.

I rischi legati al consumo dei grassi trans si possono così riassumere:

  • Aumentano il rischio di malattie del cuore;
  • Causano un basso peso dei bambini alla nascita;
  • Aumentano la produzione di radicali liberi;
  • Aumentano i livelli di insulina in risposta a un carico glicemico;
  • Interferiscono con la risposta immunitaria diminuendo l’efficienza della risposta delle cellule B e aumentando la proliferazione delle cellule T;
  • Interferiscono sul livello di testosterone, diminuendolo;
  • Inibiscono alcune reazioni enzimatiche fondamentali;
  • Abbassano il colesterolo “buono” (frazione HDL) e alzano quello cattivo (LDL);
  • Alterano la permeabilità e la fluidità delle membrane cellulari;
  • Alterano la costituzione e il numero degli adipociti (cellule di deposito del grasso);
  • Interferiscono con il metabolismo degli acidi grassi essenziali omega-3.

A questo punto quindi è importante parlare della margarina, portata avanti negli anni 80 come sostitutiva del burro e che era ritenuta “più salutare” perchè di origine vegetale! In realtà a cominciare dagli anni 90 si è visto che non è esattamente così! Oggi la margarina è quasi sempre ottenuta dall’idrogenazione dei grassi vegetali, che rende il prodotto più o meno solido a seconda della percentuale dei grassi saturi contenuti e meno deperibile. Di conseguenza vi sono forti probabilità che siano in essa contenuti dei grassi trans.

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Quando la margarina non è idrogenata è ottenuta per frazionamento di oli vegetali raffinati e la margarina ottenuta per frazionamento di olii raffinati è salutisticamente di scarsa qualità perché ottenuta da olii già in partenza degradati (poiché raffinati), ma anche perché è composta da frazioni più solide ricche di acidi grassi saturi. E’ consigliabile evitarla (o limitarne parecchio il consumo) sia nella versione idrogenata che in quella ottenuta per frazionamento di olii raffinati.

Per scoprire se i prodotti che acquisti abitualmente al supermercato contengono oli vegetali idrogenati, hai bisogno di leggere attentamente le etichette. Un prodotto è privo di oli vegetali idrogenati solo se riporta esplicitamente in etichetta la dicitura “olio vegetale NON idrogenato” o “senza oli vegetali idrogenati”. Se questa dicitura non compare e sull’etichetta è scritto genericamente “oli vegetali”, allora l’olio usato ha subito un procedimento di idrogenazione ed è estremamente dannoso per la tua salute.

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Per essere ancora più sicuri si possono avere anche altri accorgimenti:

  • scegliere solo prodotti che usano come componente grassa olio extravergine d’oliva o altri oli vegetali a basso contenuto di grassi saturi (mais, girasole, ecc.)
  • prediligere oli biologici, spremuti a freddo ed esclusivamente con l’ausilio di mezzi meccanici
  • quando si prepara un dolce, si può tranquillamente usare l’olio di mais bio spremuto a freddo al posto di burro o margarine
  • quando è proprio indispensabile, usare il burro di soia o la margarina vegetale, ma che siano biologiche e che non contengono grassi vegetali idrogenati.